A Libbertà. A Libbertà. Pur o'pappavallo l'adda pruvà!
(Così parlò Bellavista - 1984)
Mi sono rimesso - diciamo così - dall' influenza ma i pensieri e il daffare di questo periodo mi impediscono, ahimè, di essere sereno e tranquillo. Cerco di non trascurare il Maiale perchè è una delle cose alle quali tengo di più e perchè voglio sempre rispettare la mia creatura ed il mio compare lontano. Vivo sulla pelle situazioni casalinghe molto grottesche che sanno poco di genio. La mia proprietaria, che purtroppo vive con me (non prendete mai in affitto una casa col proprietario dentro!) ha decretato che devo andarmene per motivi futili e davvero poco democratici. Dovete sapere che non ho la libertà di ospitare i miei amici se non prima chiedendo udienza presso di lei. Che per lavarmi i panni devo prima cercare di incontrarla, poi domandare di poter usare la lavatrice che di fatto si trova nella sua parte di casa ma che, come concordato, posso usare! Mi è stato detto che ho fittato una stanza ed essendo la casa di sua proprietà tutte le mie libertà devono passare al vaglio prima di potersi rendere. La mia proprietaria è di estrazione cattolica, ha studiato nelle scuole cattoliche ma io sto vivendo una convivenza di regime. Onorevolmente pago la cifra pattuita, rispettosamente gestisco la mia vita all'interno della casa; io che sono e sempre sono stato troppo educato, pulito, discreto e galantuomo. E' successo che un mio caro amico, ospite da me per un paio di giorni, non conoscendo la casa ed appena arrivato, abbia erroneamente aperto la porta che apre alle stanze della padrona convinto che fosse l'altra porta che invece introduceva alla stanza da bagno. Per una serie di circostanze che non sto qui a chiarire ma che hanno del ridicolo, sua maestà ha deciso che io debba abbandonare la casa. Dovevi dirmelo che il tuo amico sarebbe venuto. Già, ma se dici di fittarmi la stanza io nella mia stanza ci faccio venire chi mi pare. Si ma la tua stanza è in casa mia. Dovevi chiederlo ai tuoi coinquilini se accettavano l'idea che per 2 giorni avrebbero intravisto il tuo amico. Già, ma uno di loro mi ha comunicato dell'arrivo della sua signora che al mattino ho trovato in cucina?..e poi, voglio dire, ma chi se ne frega. Anzi. Io alla signorina ho chiarito che per me lei poteva pure rimanerci a vita dentro casa. Sono questi forse i problemi?! E un sacco di altre storie il cui profumo è pressochè lo stesso della vicenda appena narrata. Perchè sto qui a raccontarvi tutto questo? Beh, innanzitutto perchè il Maiale è il mio diario e quindi ci scrivo quello che me pare ;-) poi per condividere con voi la follia che si nasconde dietro e dentro questa vicenda. Quello che sperimento in realtà è che la metropoli genera privazione. Con l'amico incriminato (e, mi dispiace per lui: mortificato) ragionavamo proprio su questo. Noi che siamo nati col mare, con la spontaneità, con un attaccamento cronico alle tradizioni. Noi che piangiamo quando vediamo le onde del golfo o quando ci apprestiamo ad un lauto banchetto. Noi che emigriamo perchè la sensibilità ed il carattere della nostra gente hanno creato una fragilità perversa, una nuova follia, quella della camorra e della monnezza, dei politici corrotti e della non-capacità di essere efficienti. Noi, a galla nel mare di tutti questi contrasti, in bilico tra bellezza e dolore, arriviamo nostalgici in una grande città dove c'è tutto ma manca la radice. Attenzione perchè non sto sputando nel piatto in cui mangio, e per me Roma è splendida e mi spacca il cuore. Sono già stato qui per 2 anni e conservo ricordi di un'intimità struggente. Ma ho la sensazione che qualcosa nella metropoli si perda. Non raggiunge, non arriva. Così vivo in una bella casa, al centro, luminosa e silenziosa, ma la follia della crudeltà che sperimento proprio non la capisco. Quindi ne faccio un rapporto con il luogo. Perchè, e la cucina me lo insegna, c'è sempre un rapporto con tutto. Ma le persone spesso si nascondono, fuggono, non capiscono, creano nuovi modi e mondi coccolati dallo spazio che li ospita ed inevitabilmente li contagia. Questo potrebbe essere un ottimo spunto per un'antropologia nella quale, perchè no, troverebbe spazio anche la cucina. Ed in realtà già lo è stato per libri interessantissimi ed autori illuminati come Augè o Levis Strauss, i nostri Canevacci e Niola e tanti altri. Questo inenarrabile tento maldestramente di narrare. Perdonerete la confusione e lo sfogo ma immaginate come mi possa sentire a dover gestire follie del genere, mentre la mia signora è lontana e son 2 mesi che non la vedo; la mia storia ed i miei ricordi più teneri non sono con me e tutti i giorni combatto la mia battaglia per riuscire a fare quello che più mi piace per la vita. Concludo: Mi addolcisce il tortino di riso qui proposto, perdonate pure la foto che non è delle migliori (il tortino invece è squisito!) e sappiate che, nonostante tutto, l'ho cucinato con affetto e devozione. La cucina è una splendida e commovente cura. Buon weekend e, come sempre, buon appetito. [Da archiviare in: spore per un'antropologia delle follie metropolitane.]
Ingredienti x 4 persone
200g di riso Carnaroli superfino
2 cespi di radicchio Trevisano
cipolla rossa
1 buona fetta di Camembert
aceto balsamico
Parmigiano
pangrattato
burro
olio extravergine
sale e pepe q.b
Saltate in padella il radicchio ben lavato e tagliato in striscioline con poco burro, mezza cipolla tritata grossolanamente ed un cucchiaino di olio. Fate appassire dolcemente poi spegnete la fiamma e regolate di pepe. In una capace cassruola fate imbiondire la cipolla rimasta con altro burro ed una goccia di olio, tostate il riso, sfumate con l'aceto balsamico quindi abbassate la fiamma e rabboccate con acqua bollente. A metà cottura aggiungete il radicchio e terminate avendo cura che il riso sia al dente. Mantecate col Camembert tagliato a tocchetti, una noce di burro, regolando di sale e di pepe. Sistemate il risotto con cura in stampini precedentemente imburrati e passati col pangrattato, ponete in forno già caldo a 200° per un altro quarto d'ora. Tirate fuori gli stampini, lasciate ambientare, li capovolgete nei piatti di portata e decorate con alcune striscioline di radicchio tenute da parte.
Stefano Tripodi
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