giovedì, dicembre 21

zuppa di patate e cipolle



Proponiamo questa gustosa zuppa di patate e cipolle come piatto unico da mangiare in questi giorni ancora pre-natalizi e, volendo, nei giorni che precedono o seguono le abbuffate di fine anno. Una antica ricetta che riscopre oggi tutti i sapori della tavola contadina. Le dispense degli agricoltori del Sud Italia abbondavano in passato di patate e cipolle e per loro questo piatto rappresentava spesso l'unica, anche monotona, fonte di sostentamento. Riportando in tavola un piatto importante per la tradizione, Il Maiale Ubriaco ne riscopre profumi e sapori come un'altro momento principe della convivialità e della tradizione. Da assaporare accompagnando con un buon bicchiere di vino rosso.
Ingredienti per 4 persone
6 cipolle bianche
3 patate grandi
40 g di burro
8 fette di pane casereccio
0,5 l di brodo vegetale
qualche foglia di salvia
1 rametto di maggiorana
sale q.b.
Lavare e pelare le patate quindi tagliarle a tocchetti. Cuocerle in acqua salata fino a lessarle ma mantenedole piuttosto sode. Sbucciare e affettare le cipolle. In una casseruola fondere il burro con un pò di salvia, lasciar soffriggere e aggiungere le cipolle. Cuocere per 5 minuti. Unire le patate alla cipolla e versarvi sopra il brodo caldo. Portare a ebollizione quindi cuocere per 20 minuti circa a fuoco basso. Quando il brodo sarà asciugato quasi del tutto spegnere il fuoco, aggiustare di sale, coprire e lasciar riposare. Impiattare la zuppa nelle scodelle apposite, aggiungere poco olio crudo a filo, qualche fogliolina di maggiorana. Accompagnare con le fette di pane casereccio precedentemente abbrustolite sotto il grill del forno o avendole poste vicino la cenere del camino.

lunedì, dicembre 11

calzoncelli con ripieno di castagne

In questo periodo dell’anno, con l’avvicinarsi delle feste natalizie, è usanza e tradizione preparare i famosi Calzoncelli. Nel Sud Italia diverse sono le ricette e le modalità di preparazione che, particolarmente tra Campania e Basilicata, distinguono il Calzoncello per forma, grandezza e tipo di ripieno. Avevamo accennato, nel precedente articolo, che il Calzoncello campano (riferendoci a quello preparato nella zona dei Monti Picentini) introduce nel ripieno la nocciola, oltre che le castagne. La pasta poi viene preparata con farina bianca e olio di oliva. La ricetta dei Calzoncelli che qui vi proponiamo è invece la classica ricetta lucana. Ho avuto la fortuna, recandomi appositamente in Basilicata (Albano di Lucania), di trovare una persona, donna Norina, che non solo mi ha fornito la ricetta tradizionale dei Calzoncelli, ma si è anche offerta di realizzarli davanti ai miei occhi. Ciò che ne è venuto fuori è senza dubbio un piccolissimo quanto altissimo momento di antropologia delle tradizioni popolari, in cui il recupero della tradizione attraverso lo svolgimento della preparazione e il discoprisi insieme di quelle tecniche unicamente tramandate a voce e a sguardo, fanno della nostra ricetta una preziosissima perla di saggezza popolare da tenere stretta e tramandare con coscienza e serietà. Nella serie di scatti che seguono potete osservare le varie fasi della preparazione.

Cominciando da sinistra e procedendo in senso orario, osservate la lavorazione della pasta, che viene lavorata manualmente per poco meno di un’ora, affinché risulti compatta ed elastica; la posa del ripieno, che viene fatta allo stesso modo con cui si preparano i ravioli; infine il taglio del Calzoncello che in Lucania è piccolo ed assomiglia piuttosto ad un raviolo, contrariamente a quello campano che è più grande ed ha la forma classica del calzone. In Basilicata il Calzoncello è detto Cauzncidd e viene riempito con sola pasta di castagne, o aggiungendovi pasta di ceci. Eccovi ora la ricetta con le dosi. La pubblichiamo così come donna Norina ha raccontato, non dimenticando di aggiungere che oggi come oggi vi è un grande rimpianto per queste tradizioni che da tutti, sembra, sono ormai dimenticate.

Ingredienti:

per la sfoglia

500 gr di farina di grano duro
5 uova
50 gr di burro o sugna
1 manata di zucchero

Mischiare con piccoli “pizzichi” il burro con la farina. Aggiungere le uova e lo zucchero. Continuare la lavorazione, impastando a lungo e con forza finchè la pasta non risulti elastica ed omogenea. Stendere la sfoglia sottilissima.

per il ripieno

500 gr di castagne
200 gr circa di cioccolato fondente
zucchero q.b.
1 bustina di vanillina
cannella e liquore a piacere

Sbucciare e lessare le castagne. Eliminare la pellicola interna e rimetterle sul fuoco con una scorzetta di limone e una noce di burro, coprirle a filo con latte intero. Cuocere fino a far asciugare il latte, passare al setaccio o frullare con il passaverdura. Aggiungere il cioccolato fuso in precedenza a bagnomaria, poi il liquore, lo zucchero, la cannella e la vanillina. Confezionare i calzoncelli mettendo un po’ di ripieno (mezzo cucchiaio) lungo una striscia di sfoglia lasciando poco spazio tra un ripieno ed un altro, quindi ricoprire con la sfoglia restante e con le mani chiudere i bordi. Staccare ogni calzoncello con la rotella, poi friggerli in olio di oliva. Spruzzare, ancora caldi, con zucchero a velo o miele.

martedì, dicembre 5

breve antropologia della castagna

Il cibo è cultura. E a questo ci siamo, più volte, arrivati.
Anche la natura è cultura, fosse soltanto che alla base dell’invenzione della cucina sta il paradigma fuoco-cucina-civiltà. A ben guardare la natura si inserisce da sempre all’interno di quel complesso sistema sociale e simbolico che storicamente ha determinato e determina l’intrecciarsi della vita umana, con i suoi miti e riti, le sue credenze, le sue scadenze stagionali. In una prospettiva antropologica è interessante quanto divertente provare a scoprire la corrispondenza che esiste tra le castagne e la vita umana. Da sempre la castagna è associata al culto dei morti. Simbolicamente il frutto esce dalla scorza come il corpo resuscita dal sepolcro. In alcuni comuni del Sud Italia è tradizione, il giorno di Ognissanti, cibarsi di castagne arrostite; mentre alla vigilia del giorno dei morti si riempiono calze di lana con castagne e mele e si sistemano vicino al letto dei bambini. Il giorno dopo i piccoli scopriranno che, durante la notte, i loro cari defunti sono andati a fargli visita.
In altri comuni di Italia, come Bardolino, era tradizione per le famiglie, il giorno dei morti, dividersi i compiti tra chi andava al cimitero e chi rimaneva a casa a cuocere castagne. Erano il pane dei morti. Non a caso l’albero di castagno è anche detto l’albero del pane. Pensate che dal Medioevo all’età Moderna, gli abitanti dell’arco alpino e appenninico hanno fondato le proprie comunità solo dove vi fosse presenza di alberi di castagno e solo se questi potessero garantire frutti e legname. Si parla di una vera e propria civiltà del castagno, in cui tradizioni, statuti comunali, norme giuridiche e tecniche agronomiche nascevano e si impiantavano a dimostrazione che la civiltà si sviluppa e ruota intorno alla Natura. Ed è per questo che la Natura esige rispetto massimo e salvaguardia, per ciò che concerne la coltivazione e la lavorazione del prodotto.
Fin dall’antichità Greci, Fenici, Ebrei e Romani trasportavano le castagne fresche, o in farina, da un paese all’altro del Mediterraneo. Le castagne si sono poi trasferite insieme agli emigranti, quando gli italiani, alla fine dell’800, hanno raggiunto gli Stati Uniti d’America. Nacque un importante flusso di esportazione in cui le castagne erano distribuite attraversando l’oceano, ma non prima di essere tenute a bagno alcuni giorni per evitare che spuntassero funghi o muffe. Ancora oggi l’Italia esporta circa 2.300 tonnellate di castagne l’anno.
Una importante tradizione ci ricorda l’impiego delle castagne nell’ambito del ciclo mitologico e cultuale dell’uomo: la collana di castagne e mele. Diffusa in diverse zone di Italia, come sull’isola della Maddalena in Sardegna, questa tradizione prevedeva che per fabbricare la collana dovessero cercarsi i frutti bussando alle porte delle abitazioni (il giorno prima dei Morti) chiedendo un contributo pe’ l’anima dei morti. Ad Albiano, nel Trentino, si preparavano le sfilze, vere e proprie corone di castagne infilate come una collana e preparate sia al forno (preoccupandosi di tagliarle per non farle scoppiare al calore), quindi bucate con un punteruolo e unite con un filo di canapa; sia affumicate sotto la cappa del focolare. Ogni sfilza contava quaranta castagne. Anche in cucina le castagne hanno un posto rilevante. Principalmente arrostite o bollite ( il bollito che “media” attraverso l’acqua il rapporto tra fuoco e cibo, e richiede l’uso di un recipiente – ossia di un manufatto culturale – Montanari, Il cibo come cultura) se si ha voglia di goderne al “naturale”, le utilizziamo spesso per confetture, pasta, minestre, dolci (il tipico tronchetto natalizio) e ripieni (pollo ripieno di castagne arrosto). Nel menù tradizionale natalizio lucano il dolce è rappresentato dai panzerotti fritti, ripieni di salsa di ceci o castagne lesse. Nella comunità montana dei Monti Picentini (Sa), che beneficia della collaborazione di Slowfood attraverso la Condotta dei Picentini, molte sono le preparazioni a base di castagne; preparazioni che sono state riscoperte e valorizzate proprio dall’organismo Slowfood in Casali e Sapori (www.comune.giffoniseicasali.sa.it/). E’ il caso della Pasta con le castagne che benissimo si sposa con il Piedirosso, vino rosso campano il cui vitigno ha antiche origini romane; le Frittelle di castagne profumate alla cannella; e il famoso Calzoncello (O’ cazunciell) che introduce anche la nocciola e di cui parleremo nel prossimo articolo.